venerdì 11 ottobre 2013

Capital City| Motel | 03.27 a.m.

Come sono arrivata qui?
Respiro affannosamente dopo aver trattenuto il fiato in petto insieme ad uno sbotto nauseato che certamente m'avrebbe portato a sbrodolare un fiotto di vomito giù sul pavimento sudicio del Motel. 
La prima immagine che ho non appena riprendo conoscenza è quella patina di muffa che graffia il soffitto screpolato. C'è una luce al neon che fibrilla in modo fastidioso e il ronzio indiscreto di un paio di falene che gli sfarfallano attorno, come una danza d'ubriachi. Le osservo sotto le palpebre gonfie. Gli occhi lucidi e arrossati annebbiano e offuscano le distanze rendendo ovattata ogni sagoma, come in un sogno sotto effetto di morfina.
Come sono arrivata qui?
Devo avere bevuto. Un vago retrogusto amaro sporca il palato e un puzzo di fogna a cielo aperto tormenta le narici, insieme a quello ben più dolce del sesso. Solo adesso noto i pantaloni slacciati e la camicia assente; le coperte arruffate attorno ad un profilo morbido di donna. Scorro lo sguardo pigro, vagamente sorpreso, sulla curva burrosa dei fianchi fasciati nella stoffa. Non ricordo, ma non mi stupisco. Cerco solo di sporgere il viso quel poco che basta per scorgere quello di lei.
Come sono arrivata qui?
Continuo a chiederlo. Cerco indizi in quella stanza spoglia.
Una macchia marrone sporca la moquette. Le tende ingrigite dalla polvere sugli orli consumati, vecchi, usurati dal tempo, di un rosa pallido che una volta doveva essere squillante, sono appena socchiuse e non lasciano filtrare un filo di luce. Concludo che dev'essere notte fonda.
Non ho la forza di muovermi e nemmeno il coraggio di provarci. Gambe e braccia abbandonate mollemente in una stella scomposta sul copriletto e la bocca sa di donna e di profumo a buon mercato. Umetto le labbra, quasi servisse a far affiorare un ricordo. Socchiudo gli occhi.
Come sono arrivata qui?
Raccolgo ogni briciolo di forza rimasta in corpo per tirarmi in piedi, trascinandomi appresso la camicia bianca spiegazzata che mi premuro di rimettere addosso, abbottonandola alla ben'e meglio, con qualche bottone sfuggito alla sua asola sul ventre scavato. La punta delle dita passa distrattamente sulle costole sporgenti a saggiarne la consistenza, un po' doloranti. 
Solo adesso noto il graffio sulla mano.
I pantaloni slacciati pendono pigramente attorno ai fianchi, sul punto di scivolare sulle gambe, leggermente arricciati attorno ai piedi, ma non mi curo affatto di sollevare la zip. Gratto la testa distrattamente e osservo dall'alto la donna di burro. 
Ha bei capelli biondo cenere arruffati sul cuscino e un naso piccolo e adunco. 
Sbava un po' mentre dorme. 
Anche sforzandomi, mi rendo conto di non riuscire a ricordare il suo nome.
Come sono arrivata qui?
Le lascio una carezza lunga sulla pelle della coscia che sbuca fuori dal lenzuolo. E' morbida e calda e sa di buono, ma non so come si chiama. Nè ricordo di averle dedicato attenzioni o parole d'affetto. Non ricordo di averla amata e non ricordo di averla scopata, di averle prestato il rispetto che meriterebbe qualsiasi donna come lei. Un vuoto allo stomaco mi assale inevitabilmente: la consapevolezza d'essermi ancora una volta lasciata trasportare dagli eventi, anzichè domarli, controllarli, cercare di rigirarli a mio favore. 
Decido di pulirmi la coscienza abbandonando un mucchio di dollari alleati sul comodino di fianco al letto.
Scrivo poche frasi sul retro di uno di essi, facendo attenzione a non turbare il silenzio per non svegliare la bella sconosciuta.

- Senza dire niente me ne sono andata.
Senza sapere di nulla, senza alcun motivo per essere ricordata.
T'avessi vista guardare la neve d'Aprile, per strada.. forse.
T'avrei per sempre amata.



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